Una accertata e riconosciuta infedeltà, laddove causa della fine del rapporto coniugale, determina, senz'altro, l'addebito della separazione al coniuge responsabile, ma comporta il risarcimento del danno non patrimoniale solo se emerge e si dimostra che tale infedeltà si sia concretizzata in atteggiamenti che abbiano determinato una
lesione alla integrità fisiopsichica del coniuge ovvero lesione di diritti
fondamentali. In sostanza, il richiedente dovrà dedurre l’esistenza e fornire prova di condotte specifiche, dotate
d’intrinseca gravità e della conseguente, ingiusta lesione di un suo diritto
costituzionalmente protetto, ossia di circostanze atte ad integrare gli estremi
dell’invocata tutela risarcitoria.
Sentenza 24.11.2011/ 17.01.2012, n. 610
Suprema Corte di Cassazione
Sezione Sesta
omissis ....
Il Collegio, all’esito
dell’adunanza in camera di consiglio del 24.11.2011, svoltasi con la presenza
del Sost. Proc. Gen. dr F. Sorrentino, osserva e ritiene:
– che il
relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis
c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si
trascrive:
“Il
relatore, cons M.C. Giancola, esaminati gli atti, osserva:
– C..C. ha
proposto ricorso per cassazione nei confronti del coniuge G..M. , che ha
resistito con controricorso;
–
l’impugnazione concerne la sentenza del 7.05-4.06.2010, in tema di separazione
personale, con cui la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, emessa l’8,11.2007 dal Tribunale di S. Maria Capua
Vetere, ha ridotto ad Euro 1.600,00 mensili l’assegno già imposto (per Euro
5.000,00 mensili) al M. per il mantenimento della moglie, ha inoltre revocato
l’assegnazione a quest’ultima della casa coniugale ed ha nel resto confermato la
prima pronuncia;
– la Corte
distrettuale ha osservato e ritenuto:
a) che le
parti avevano contratto matrimonio il (omissis) e che dall’unione coniugale
erano nati tre figli, tutti ormai maggiorenni e laureati;
b) che il
M. era divenuto padre di due bambine, nate dalla sua nuova relazione
sentimentale iniziata nel XXXX;
c) che il
Tribunale aveva addebitalo la separazione al marito in ragione della violazione
del suo obbligo di fedeltà, nonché respinto la domanda riconvenzionale di
risarcimento proposta dalla moglie ed alla stessa attribuito assegni mensili di
Euro 5.000,00 per il suo mantenimento e di Euro 1.000,00, integrate dalla
corresponsione del 70% delle spese straordinarie, per il mantenimento della
figlia R. (nata nel XXXX), che conviveva con la madre e che non era
economicamente autonoma, a differenza dei suoi due fratelli, anch’essi come lei
laureati e che avevano trovato sistemazione lavorativa presso il padre;
d) che la
sentenza del Tribunale era stata impugnata in via principale dalla C. , che si
era doluta del rigetto della sua domanda di risarcimento e dell’insufficiente
entità dei disposti contributi di mantenimento, ed in via incidentale dal M.
relativamente all’addebito a sé della separazione ed alle imposte
contribuzioni;
e) che nel
caso concreto non sussistevano i presupposti per il risarcimento del danno,
chiesto dalla C. , atteso che unico fatto accertato era stata la violazione del
dovere di fedeltà da parte del marito ma non risultava che tale infedeltà si
fosse concretizzata in atteggiamenti atti a determinare una lesione alla
integrità fisico – psichica della moglie ovvero lesioni di suoi fondamentali
diritti;
f) che dal
M. non era dovuto alla moglie nemmeno il contributo al mantenimento della figlia
R. (trentaseienne e in grado di procurarsi autonomamente i mezzi di
sussistenza), essendo pacifico che ella godeva della rendita di un appartamento
donatole dal padre e che aveva disatteso ogni invito dello stesso padre di
lavorare presso una delle sue aziende, tanto più che nessuna convincente
giustificazione del rifiuto era stata addotta e che gli altri due figli delle
parti già lavoravano presso le aziende paterne onde era presumibile che
l’offerta di lavoro avrebbe comportato l’esercizio di attività analoga a quella
svolta dai germani, compatibile con il suo titolo di studio (laurea in
architettura);
g) che
attesa la mancanza di figli minori (ovvero di figli maggiorenni non
autosufficienti economicamente aventi diritto al mantenimento), andava revocata
l’assegnazione alla C. della casa coniugale;
h) che il
M. non aveva contestato il diritto della moglie di ricevere l’assegno per il suo
mantenimento, per la cui attribuzione peraltro ricorrevano i presupposti di
legge, ma solo lamentato l’eccessività della relativa quantificazione attuata
dai primi giudici;
i) che le
indagini della Polizia Tributaria, espletate nel corso del giudizio di primo
grado, avevano consentito di accertare che il M. svolgeva attività
imprenditoriale in campo edilizio, era socio di diverse società operanti nel
settore, era titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare, possedeva numerose
partecipazioni azionarie ed obbligazionarie, aveva mantenuto un tenore di vita
certamente agiato, per cui al di là delle denunce dei redditi presentate (i cui
importi erano stati invero solo indicati ma non asseverati dalla Polizia
Tributaria), poteva agevolmente sostenersi che si trattasse di un facoltoso
imprenditore e quindi di soggetto più che benestante;
j) che
l’assegno di mantenimento non era ancorato esclusivamente alle risorse
reddituali e patrimoniali del coniuge tenuto a corrispondere il mantenimento
(quasi ad attribuire al beneficiario il diritto di conseguire una sorta di
percentuale sulle risorse del coniuge), ma era volto soprattutto ad evitare che
la separazione determinasse un sensibile deterioramento delle condizioni di vita
godute in corso di matrimonio.
k) che le
condizioni godute dai coniugi M. – C. erano particolarmente agiate (residenza in
un villino con V aiuto di una collaboratrice domestica, ricevimenti con amici,
viaggi, regali costosi ecc.) ma non esageratamente lussuose, sicché appariva
chiara l’eccessività dell’importo liquidato dal giudice di primo grado e
l’esosità della richiesta di aumento formulata dall’appellante;
l) che la
C. era titolare di pensione per il suo lavoro di insegnante (circa Euro 1000,00
mensili) nonché della rendita di una assicurazione sulla vita (altri Euro
1.000,00 circa), e sebbene privata del godimento della casa coniugale, avrebbe
potuto usufruire di altra idonea abitazione (come da impegno assunto dal M. ) a
sostegno del ricorso la C. formula i seguenti motivi:
1) “Error
in procedendo. Violazione di legge per omessa valutazione del capo 1 del ricorso
in appello — omessa motivazione sul punto decisivo per la controversia rilevante
sotto il profilo della esatta quantificazione dell’assegno di mantenimento in
favore della moglie; mancato accoglimento del gravame circa la richiesta di
aumento dell’assegno; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.
2)
“Violazione di legge. Error in iudicando, error in procedendo – Mancata
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – errata/falsa applicazione delle
disposizioni di cui agli artt. 155/ter e 155/quater, c.c. — comunque
insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione sul punto,, decisivo per la
controversia rilevante sotto il profilo dell’esatta quantificazione dell’assegno
di mantenimento in favore della figlia; mancato accoglimento del gravame circa
la richiesta di aumento dell’assegno; illegittima revoca dell’assegno in favore
della figlia R. – illegittima revoca dell’assegnazione della casa familiare alla
moglie; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione del
contraddittorio e dei diritti di difesa : si priva di casa e mantenimento una
persona maggiorenne estranea al processo mai citata mai intervenuta contro la
quale nessuno ha concluso”.
3)
“Violazione e mancata applicazione delle disposizioni di cui al’art. 2059 Cc;
insufficiente, illogica, contraddittoria motivazione sul fatto decisivo della
controversia in merito al risarcimento del danno per avvenuta lesione dei
diritti fondamentali e della menomazione pisco-fisica del coniuge; il tutto in
relazione all’art.360 c.p.c., n.3 e 5″ laddove “In relazione al danno non
patrimoniale richiesto dalla ricorrente, la Corte di merito afferma: l’unico
fatto accertato è la violazione del dovere di fedeltà ma non risulta che tale
infedeltà si sia concretizzata in atteggiamenti che abbiano determinato una
lesione alla integrità fisiopsichica del coniuge ovvero lesione di diritti
fondamentali”.
– il primo
motivo del ricorso appare con evidenza fondato, a differenza degli altri due che
non appaiono meritare analogo apprezzamento favorevole, rivelandosi le
statuizioni con essi avversate aderenti al dettato normativo ed alla relativa
elaborazione giurisprudenziale, oltre che attendibilmente motivate con
argomentazioni che la ricorrente contrasta con rilievi critici privi di
autosufficienza e/o non decisivi;
– le
censure contenute nel primo motivo del ricorso, inerenti alla quantificazione
dell’assegno di mantenimento della ricorrente, si rivelano invece, fondate con
riguardo alla ricostruzione della condizione economica di ciascuna delle parti
ed al relativo raffronto e segnatamente ali ‘immotivata inclusione tra i cespiti
di lei di una rendita assicurativa mensile di Euro 1.000,00, che lo stesso
controricorrente non conferma (pag 7 del controricorso), nonché all’impropria
considerazione della futura, ipotetica e non meglio precisata soluzione
alloggiativa offerta dal coniuge, il tutto anche a fronte della sintetica ed
insufficiente esposizione della composizione del patrimonio di lui, nonché
ancora con riguardo al rapporto dello statuito contributo con il particolarmente
agiato pregresso tenore della vita coniugale e con la situazione economica del
M. , definito “facoltoso imprenditore” e “soggetto più che benestante”;
– il
ricorso può, quindi, essere trattato in camera di consiglio, in applicazione
degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per esservi accolto nei limiti in
precedenza precisati.
– la
relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero, che non ha depositato
conclusioni scritte, e notificata ai difensori delle parti;
– in primo
luogo va ritenuta l’irricevibilità degli atti allegati dalla C. , quali la
“consulenza medico-legale”, non prodotti nei gradi di merito ed estranei al
novero di quelli di cui è consentito il deposito ai sensi degli artt. 366 n. 6 e
372 c.p.c.;
– alcuna
osservazione critica è stata formulata dai difensori delle parti avverso la
proposta di accoglimento del primo motivo del ricorso e non emergono elementi
che possano portare a conclusioni diverse da quelle espresse nella condivisa
relazione di cui sopra;
– le
censure di cui al secondo ed al terzo motivo del ricorso, valutate anche alla
luce delle osservazioni svolte nella memoria, non meritano, invece, favorevole
apprezzamento;
– in
relazione al diniego di assegno paterno per il mantenimento della figlia
maggiorenne R. – da cui è legittimamente derivata pure la revoca
dell’assegnazione alla C. della casa coniugale – le avversate, statuizioni si
rivelano irreprensibilmente ed attendibilmente fondate non già su clausola di
stile, come sostenuto dalla ricorrente, ma sulla puntuale verifica delle
condizioni personali ed economiche della figlia ormai trentaseienne e titolare
di rendita immobiliare nonché di titolo di studio universitario e, dunque, in
grado di attendere ad occupazioni lucrative ingiustificatamente, invece, da lei
rifiutate, laddove anche il rilievo della ricorrente, circa l’erroneo richiamo
della sua laurea in architettura piuttosto che in conservazione e restauro di
beni culturali, non appare decisivo pure in rapporto al possibile suo
inserimento lavorativo nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta dal
padre in ambito edilizio;
– del pari
da disattendere è il terzo motivo del ricorso inerente al ribadito diniego di
risarcimento del danno non patrimoniale in tesi connesso all’infedeltà del M. ,
cui la separazione per tale ragione è stata addebitata; l’avversata statuizione
si rivela, infatti, ineccepibilmente fondata, oltre che sul richiamo di principi
di diritto in linea con quelli già affermati da questa Corte circa la
strutturale predicabilità di tale tipo di danno anche all’interno di un contesto
familiare (cfr, tra le altre, Cass. n. 9801 del 2005; n. 18853 del 2011), sul
rilevato difetto di prova della lesione di diritti fondamentali e segnatamente
dell’integrità fisio-psichica della C. , riscontro negativo che la ricorrente
solo genericamente avversa, omettendo di dedurre l’esistenza e la già fornita
prova di condotte specifiche, dotate d’intrinseca gravità e della conseguente,
ingiusta lesione di un suo diritto costituzionalmente protetto, ossia di
circostanze atte ad integrare gli estremi dell’invocata tutela risarcitoria;
– non
emergono, pertanto, elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle
rassegnate nella condivisa relazione di cui sopra;
–
conclusivamente si deve accogliere il primo motivo del ricorso, respingere gli
altri due motivi e cassare la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione
sull’assegno, con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa
composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo del ricorso, respinge il secondo ed il terzo, cassa la
sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese
del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 196 del 2003, in
caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e
gli altri dati identificativi delle parti”.
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