La moglie, in sede di divorzio, mantiene il diritto ad un assegno che le garantisca l'esigenza minima di
autonomia economica, anche se ha intrapreso una stabile convivenza con un altro uomo. In ordine alla incidenza, sul
diritto all'assegno di divorzio, della convivenza more uxorio intrapresa dal
coniuge richiedente, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di statuire che "...il diritto
all'assegno di divorzio, in linea di principio, non può essere automaticamente
negato per il solo fatto di tale convivenza, rappresentando detta convivenza
solo un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede
l'assegno disponga o meno di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto in
costanza di matrimonio (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1546; 9 aprile 2003, n. 5560)...".
La convivenza more uxorio, infatti, pur ove acquisti carattere di stabilità, non
dà luogo ad un obbligo di mantenimento reciproco fra i conviventi e può anche
essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, cosicché
l'incidenza economica di detta convivenza dove essere valutata in relazione al
complesso delle circostanze che la caratterizzano. I relativi, eventuali,
benefici economici, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono
ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell'assegno di divorzio che,
in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, è destinata ad
assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente
garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9
della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno, finché questi non
contragga un nuovo matrimonio (Cass. 10 novembre 2006, n. 24056; 8 luglio 2004,
n. 12557).
Sentenza 7 maggio / 28 giugno 2007, n. 14921
omissis ...
1. Con il ricorso si denuncia la violazione dell'art. 5 della legge n. 998 del 1970. Si deduce che secondo il disposto di tale articolo l'assegno di divorzio ha natura esclusivamente assistenziale e va concesso unicamente per garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Nel caso di specie, nell'attribuire alla ex moglie l'assegno divorzile, non si sarebbe adeguatamente considerato che essa non godeva di alcun assegno di separazione e si sarebbero valutate le sole condizioni economiche del ricorrente, senza valutare le condizioni reddituali del nuovo nucleo familiare costituito dalla ex moglie, che avrebbe instaurato una stabile convivenza con altro uomo, secondo quanto dimostrato dalle prove acquisite ed ammesso dalla stessa ex moglie. Si deduce che il convivente godrebbe di redditi analoghi a quelli del ricorrente e la coppia vivrebbe in una casa messa gratuitamente a disposizione dal datore di lavoro del convivente. Si deduce ancora che la ex moglie svolge lavori occasionali presso terzi, e che il figlio S. verserebbe alla madre una somma mensile. Non sarebbe stato inoltre adeguatamente considerato che il ricorrente ha contratto un nuovo matrimonio, con i conseguenti oneri, e paga un assegno per il figlio D. Quanto ai guadagni del ricorrente accertati in euro 33.000 annui netti ci lamenta che non sia stato considerato che il suo salario base era di euro 1.137,00, e ogni altra somma percepita è il frutto di lavoro straordinario, svolto proprio per vivere dignitosamente.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro ottocento, di cui cento per spese vive.
Sentenza 7 maggio / 28 giugno 2007, n. 14921
Suprema Corte di Cassazione
Sezione prima
civile
omissis ...
Svolgimento del processo
1. Il tribunale di Piacenza,
con sentenza 24 aprile 2002, pronunciava la cessazione degli effetti civili del
matrimonio di V. A. e B. L., ponendo a carico del V. un assegno di euro 206,58
mensili per il mantenimento del figlio D., convivente con la madre, nonché un
assegno divorzile di euro 155,00.
Il V. proponeva appello contestando la debenza
dell'assegno divorzile.
La Corte di appello, con sentenza depositata il 13 marzo
2003, rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza il V. ha proposto ricorso a
questa Corte, con atto notificato il 19 marzo 2004 alla B., che resiste con
controricorso notificato il 28 aprile 2004.
Entrambe le parti hanno depositato
memorie.
Motivi della decisione
1. Con il ricorso si denuncia la violazione dell'art. 5 della legge n. 998 del 1970. Si deduce che secondo il disposto di tale articolo l'assegno di divorzio ha natura esclusivamente assistenziale e va concesso unicamente per garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Nel caso di specie, nell'attribuire alla ex moglie l'assegno divorzile, non si sarebbe adeguatamente considerato che essa non godeva di alcun assegno di separazione e si sarebbero valutate le sole condizioni economiche del ricorrente, senza valutare le condizioni reddituali del nuovo nucleo familiare costituito dalla ex moglie, che avrebbe instaurato una stabile convivenza con altro uomo, secondo quanto dimostrato dalle prove acquisite ed ammesso dalla stessa ex moglie. Si deduce che il convivente godrebbe di redditi analoghi a quelli del ricorrente e la coppia vivrebbe in una casa messa gratuitamente a disposizione dal datore di lavoro del convivente. Si deduce ancora che la ex moglie svolge lavori occasionali presso terzi, e che il figlio S. verserebbe alla madre una somma mensile. Non sarebbe stato inoltre adeguatamente considerato che il ricorrente ha contratto un nuovo matrimonio, con i conseguenti oneri, e paga un assegno per il figlio D. Quanto ai guadagni del ricorrente accertati in euro 33.000 annui netti ci lamenta che non sia stato considerato che il suo salario base era di euro 1.137,00, e ogni altra somma percepita è il frutto di lavoro straordinario, svolto proprio per vivere dignitosamente.
Con il secondo motivo ai
denuncia la violazione dell'art. 2697 cod. civ., non avendo la ex moglie dato la
prova, che su di lei incombeva, di non essere in grado di mantenere con i suoi
mezzi il tenore di vita goduto durante il matrimonio, tenuto conto che in regime
di separazione non godeva di nessun assegno né lo aveva mai richiesto. 2. I due
motivi vanno esaminati congiuntamente e sono infondati. Secondo l'orientamento
di questa Corte espresso dalla sentenza delle sezioni unite 29 novembre 1990, n.
11492, in tema di scioglimento dal matrimonio e nella disciplina dettata
dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dall'art. 10
Legge 6 marzo 1987 n. 74 che subordina l'attribuzione di un assegno di divorzio
alla mancanza di "mezzi adeguati” l'accertamento del diritto all’assegno
divorzile va effettuato verificando innanzitutto l’inadeguatezza dei mezzi del
coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in
costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di
continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla
base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale (da ultimo:
Cass. 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021; 16 maggio 2005, n.
10210; 7 maggio 2002, n. 6541; 15 ottobre 2003, n. 15383; 15 gennaio 1998, n.
317; 3 luglio 1997, n. 5986).
Quanto al rapporto fra assegno
di separazione ed assegno di divorzio, tenuto conto di quanto statuito dal
citato art. 5 della legge n. 898 del 1970, questa Corte ha statuito - con
decisioni che in questa sede vanno riaffermate - che la determinazione
dell'assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti,
per accordo tra la parti o in forza di decisione giudiziale, nel regime di
separazione dei coniugi, in quanto diverso sono le rispettive discipline
sostanziali così come diversi sono la natura, la struttura e la finalità dei
relativi trattamenti. L'assegno di divorzio, quale effetto diretto della
pronuncia di divorzio, deve essere, infatti, determinato sulla base di criteri
propri ad autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al
coniuge separato. Con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla
separazione può costituire soltanto un indice di riferimento nella regolazione
del regime patrimoniale del divorzio, nella misura in cui appaia idoneo a
fornire elementi utili per la valutazione della condizioni dei coniugi e
dell'entità dei loro redditi (Cass. 27 luglio 2005, n. 15728; 11 settembre 2001,
n. 11575), mentre la mancata richiesta, o la mancata liquidazione, in sede di
separazione, dell'assegno di mantenimento, non costituisce circostanza decisiva
o preclusiva della liquidazione dell'assegno di divorzio (Cass. 20 gennaio 2006,
n. 1203; 22 novembre 2000, n. 15055) , ove il richiedente dimostri la
insufficienza delle propria disponibilità a conservare il tenore di vita di cui
aveva diritto di godere durante il matrimonio.
Quanto alla incidenza, sul
diritto all'assegno di divorzio, della convivenza more uxorio intrapresa dal
coniuge richiedente, questa Corte ha già avuto modo di statuire che il diritto
all'assegno di divorzio, in linea di principio, non può essere automaticamente
negato per il solo fatto di tale convivenza, rappresentando detta convivenza
solo un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede
l'assegno disponga o meno di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto in
costanza di matrimonio (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1546; 9 aprile 2003, n. 5560).
La convivenza more uxorio, infatti, pur ove acquisti carattere di stabilità, non
dà luogo ad un obbligo di mantenimento reciproco fra i conviventi e può anche
essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, cosicché
l'incidenza economica di detta convivenza dove essere valutata in relazione al
complesso delle circostanze che la caratterizzano. I relativi, eventuali,
benefici economici, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono
ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell'assegno di divorzio che,
in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, è destinata ad
assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente
garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9
della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno, finché questi non
contragga un nuovo matrimonio (Cass. 10 novembre 2006, n. 24056; 8 luglio 2004,
n. 12557).
La decisione della Corte di
appello, che ha confermato un assegno di divorzio di euro 155,00 mensili, tenuto
anche conto della durata del matrimonio, dal quale sono nati due figli nonché
della consensualità della separazione, che non consente la valutazione di
elementi di addebito ai fini dell'attribuzione dell'assegno di divorzio appare
conforme a tali principi, sulla base dei quali sia la mancata attribuzione di un
assegno di separazione, sia l'esistenza di una convivenza more uxorio, non
costituiscono, in relazione agli accertamenti di fatto compiuti in sede di
merito ed incensurabili in questa sede nelle relative valutazioni, elementi
idonei a negarne la legittimità. La Corte, infatti, ha accertato l'esiguità dei
redditi della richiedente, a fronte del reddito netto annuo dell'ex coniuge di
lire 33.000.000, ed ha liquidato l'assegno in misura tale da apparire destinato
a garantire esigenze minima di autonomia economica.
Le spese seguono la
soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro ottocento, di cui cento per spese vive.
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