lunedì 12 marzo 2012

AFFIDO CONDIVISO - ESCLUSIONE

Il netto rifiuto di qualsiasi rapporto con la madre manifestato dalla figlia minorenne ed avuto riguardo al suo superiore e prevalente interesse nonchè all'incapacità dei genitori di evitare conflitti tra di loro in funzione di tale interesse, giustifica l'affidamento esclusivo al padre, sia pure con conferimento ai servizi sociali dell'incarico di tentare il ripristino dei rapporti con la madre.

Sentenza Corte di Cassazione 15 settembre 2011 n. 18867
....omissis

la Corte osservato e ritenuto:
- con sentenza n. 662 del 16.05.2007, il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava la separazione personale dei coniugi A.D. e M.G., affidava al padre la figlia della coppia, M., con incarico ai locali servizi sociali di favorire il ripristino delle frequentazioni della minore con la madre, alla quale imponeva di corrispondere al marito l'importo mensile di complessivi Euro 150,00, quale contributo per il mantenimento sia della figlia minorenne che dell'altra figlia dei coniugi, ormai maggiorenne ma non ancora economicamente indipendente, ed, infine, assegnava al M. la casa coniugale - con sentenza del 13.10-20.11.2008, la Corte di appello di Reggio Calabria respingeva il gravame della A., articolato in tre motivi inerenti rispettivamente all'attuato accertamento dell'intervenuta riconciliazione con il marito dopo la separazione consensuale omologata il (omissis), nonchè al disposto affidamento al padre della figlia minorenne ed alle statuite modalità di frequentarla da parte sua, nonchè ancora all'assegno impostole per il mantenimento della prole, ritenendo:
a) che il Tribunale aveva correttamente ritenuto ammissibile la nuova domanda di separazione proposta dal M., in base all'accertata situazione di fatto ed in particolare all'emersa circostanza che, dopo l'omologazione della loro separazione consensuale, i coniugi si erano trasferiti da (omissis) per diversi mesi, coabitando con le figlie minorenni e svolgendo una vita in comune, pacifico anche essendo che dopo tale breve ma inequivocabile riconciliazione tra le parti fosse intervenuto un nuovo distacco con cessazione della loro convivenza;
b) che dato il netto rifiuto di qualsiasi rapporto con la madre manifestato dalla figlia minorenne ed avuto riguardo al suo superiore e prevalente interesse nonchè all'incapacità dei genitori di evitare conflitti tra di loro in funzione di tale interesse, fosse allo stato impensabile disporre l'affidamento condiviso o esclusivo alla madre della ragazza e che, quindi, dovesse essere confermato il suo affidamento al padre, sia pure con conferimento ai servizi sociali dell'incarico di tentare il ripristino dei rapporti tra madre e figlia;
c) che al disposto affidamento della minore al M. conseguissero sia la statuita assegnazione a lui della casa coniugale, peraltro non gravata d'appello, e sia la previsione di un sia pur minimo contributo materno al mantenimento delle due figlie, entrambe conviventi con il padre;
avverso questa sentenza, notificatale il 15.01.2009, l' A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e notificato il 16.03.2009 al M., che non ha opposto difese a sostegno del ricorso l'A. denunzia:
1. "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 157 c.c., comma 1. ( Art. 360 c.p.c., n. 3), formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: "Dica l'Ecc.ma Corte, formulando il relativo principio, che la ripresa dei rapporti coniugali, ex art. 157 c.c., per potere essere giudicata come oggettivamente incompatibile con lo stato di separazione, deve protrarsi per un apprezzabile lasso di tempo non bastando all'uopo un semplice e temporalmente breve tentativo sperimentale di coabitazione".
Il quesito di diritto e, dunque, il motivo, è inammissibile ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, sostanziandosi in generica prospettazione di principi affidati a premesse in fatto meramente assertive, priva dei dovuti riferimenti alle specificità del caso (cfr, tra le numerose altre, cass. SU n. 36 del 2007; cass. n. 4044 del 2009).
2. "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 157 c.c., comma 2 (Art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5)", formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: "Dica l'Ecc,ma Corte, formulando il relativo principio, che ai sensi dell'art. 157 c. c., comma 2, i fatti e comportamenti che legittimano la pronunzia di una nuova separazione debbano riferirsi a fatti e comportamenti diversi, nuovi e/o con soluzione di continuità rispetto a quelli che hanno dato luogo alla precedente pronuncia di separazione, e che in caso contrario si produrrà la reviviscenza degli effetti della originaria separazione".
Il motivo è inammissibile. In violazione dell'art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto si rivela generico e, al pari della formulata sintesi, non aderente alle peculiarità del caso e non pertinente rispetto al contenuto della sentenza d'appello, con la quale, una volta escluso che l'impugnata pronuncia di primo grado attenesse anche alla simulazione della separazione consensuale omologata già intervenuta tra le parti, è stata motivatamente ed attendibilmente ribadita la riconciliazione dei coniugi posteriore a detta loro separazione consensuale ed accertata la successiva nuova frattura del rapporto coniugale, senza riferimenti a permanenti ed ingravescenti originari contrasti.
3. "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 155 c.c. (Art. 360 c.p.c., n. 3) con conclusiva formulazione del seguente quesito di diritto: "Dica l'Ecc.ma Corte, formulando il relativo principio, che ai sensi dell'art. 155 c.c., l'affidamento congiunto costituisca la regola cui il giudice di merito può derogare, con provvedimento motivato, disponendo in via di eccezione l'affidamento esclusivo ad un solo genitore solo nel caso in cui sia provata, in positivo, l'idoneità del genitore affidatario, ed in negativo l'inidoneità dell'altro, vale a dire la manifesta carenza di idoneità educativa delmedesimo".
Il motivo non ha pregio.
I giudici di merito, attenendosi al dettato normativo di cui agli artt. 155, 155 bis e 155 sexies cod. civ., hanno, infatti, disposto l'affidamento esclusivo al padre della figlia minorenne delle parti, in luogo del suo affidamento condiviso ai genitori, non già per carenze materne, ma ineccepibilmente, argomentatamente ed attendibilmente ritenendo che l'affidamento soltanto o anche all' A. della minore (nata il (omissis)), la quale a tanto si era recisamente opposta in sede di sua doverosa audizione, fosse contrario all'interesse superiore della figlia stessa, e, dunque, correttamente privilegiando il prescritto criterio legale.
4. "Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso del giudizio(art. 360 c.p.c., n. 5); violazione dell'art. 155 quater c.c.".
La ricorrente censura l'assegnazione della casa coniugale al M., contestando di non avere sul punto proposto appello e sostenendo che l'immobile assegnato al coniuge e sito in (omissis), da tempo risalente non costituiva più l'alloggio familiare. In entrambi gli articolati profili, il motivo si rivela inammissibile già per genericità e difetto di autosufficienza, giacchè la ricorrente non richiama e trascrive i passi del suo atto d'appello che avvalorerebbero il suo primo assunto nè, quanto al secondo, consente il riscontro della prospettata utilizzazione della casa assegnata al coniuge. conclusivamente il ricorso deve essere respinto - non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, atteso il relativo esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

mercoledì 7 marzo 2012

INFEDELTA' - Risarcimento del danno

Una accertata e riconosciuta infedeltà, laddove causa della fine del rapporto coniugale, determina, senz'altro,  l'addebito della separazione al coniuge responsabile, ma comporta il risarcimento del danno non patrimoniale solo se emerge e si dimostra che tale infedeltà si sia concretizzata in atteggiamenti che abbiano determinato una lesione alla integrità fisiopsichica del coniuge ovvero lesione di diritti fondamentali. In sostanza, il richiedente dovrà dedurre l’esistenza e fornire prova di condotte specifiche, dotate d’intrinseca gravità e della conseguente, ingiusta lesione di un suo diritto costituzionalmente protetto, ossia di circostanze atte ad integrare gli estremi dell’invocata tutela risarcitoria.

Sentenza 24.11.2011/ 17.01.2012,  n. 610

Suprema Corte di Cassazione
Sezione Sesta
omissis ....

Il Collegio, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 24.11.2011, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Gen. dr F. Sorrentino, osserva e ritiene:

– che il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive:
“Il relatore, cons M.C. Giancola, esaminati gli atti, osserva:

– C..C. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del coniuge G..M. , che ha resistito con controricorso;
– l’impugnazione concerne la sentenza del 7.05-4.06.2010, in tema di separazione personale, con cui la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, emessa l’8,11.2007 dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, ha ridotto ad Euro 1.600,00 mensili l’assegno già imposto (per Euro 5.000,00 mensili) al M. per il mantenimento della moglie, ha inoltre revocato l’assegnazione a quest’ultima della casa coniugale ed ha nel resto confermato la prima pronuncia;

– la Corte distrettuale ha osservato e ritenuto:
a) che le parti avevano contratto matrimonio il (omissis) e che dall’unione coniugale erano nati tre figli, tutti ormai maggiorenni e laureati;
b) che il M. era divenuto padre di due bambine, nate dalla sua nuova relazione sentimentale iniziata nel XXXX;
c) che il Tribunale aveva addebitalo la separazione al marito in ragione della violazione del suo obbligo di fedeltà, nonché respinto la domanda riconvenzionale di risarcimento proposta dalla moglie ed alla stessa attribuito assegni mensili di Euro 5.000,00 per il suo mantenimento e di Euro 1.000,00, integrate dalla corresponsione del 70% delle spese straordinarie, per il mantenimento della figlia R. (nata nel XXXX), che conviveva con la madre e che non era economicamente autonoma, a differenza dei suoi due fratelli, anch’essi come lei laureati e che avevano trovato sistemazione lavorativa presso il padre;
d) che la sentenza del Tribunale era stata impugnata in via principale dalla C. , che si era doluta del rigetto della sua domanda di risarcimento e dell’insufficiente entità dei disposti contributi di mantenimento, ed in via incidentale dal M. relativamente all’addebito a sé della separazione ed alle imposte contribuzioni;
e) che nel caso concreto non sussistevano i presupposti per il risarcimento del danno, chiesto dalla C. , atteso che unico fatto accertato era stata la violazione del dovere di fedeltà da parte del marito ma non risultava che tale infedeltà si fosse concretizzata in atteggiamenti atti a determinare una lesione alla integrità fisico – psichica della moglie ovvero lesioni di suoi fondamentali diritti;
f) che dal M. non era dovuto alla moglie nemmeno il contributo al mantenimento della figlia R. (trentaseienne e in grado di procurarsi autonomamente i mezzi di sussistenza), essendo pacifico che ella godeva della rendita di un appartamento donatole dal padre e che aveva disatteso ogni invito dello stesso padre di lavorare presso una delle sue aziende, tanto più che nessuna convincente giustificazione del rifiuto era stata addotta e che gli altri due figli delle parti già lavoravano presso le aziende paterne onde era presumibile che l’offerta di lavoro avrebbe comportato l’esercizio di attività analoga a quella svolta dai germani, compatibile con il suo titolo di studio (laurea in architettura);
g) che attesa la mancanza di figli minori (ovvero di figli maggiorenni non autosufficienti economicamente aventi diritto al mantenimento), andava revocata l’assegnazione alla C. della casa coniugale;
h) che il M. non aveva contestato il diritto della moglie di ricevere l’assegno per il suo mantenimento, per la cui attribuzione peraltro ricorrevano i presupposti di legge, ma solo lamentato l’eccessività della relativa quantificazione attuata dai primi giudici;
i) che le indagini della Polizia Tributaria, espletate nel corso del giudizio di primo grado, avevano consentito di accertare che il M. svolgeva attività imprenditoriale in campo edilizio, era socio di diverse società operanti nel settore, era titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare, possedeva numerose partecipazioni azionarie ed obbligazionarie, aveva mantenuto un tenore di vita certamente agiato, per cui al di là delle denunce dei redditi presentate (i cui importi erano stati invero solo indicati ma non asseverati dalla Polizia Tributaria), poteva agevolmente sostenersi che si trattasse di un facoltoso imprenditore e quindi di soggetto più che benestante;
j) che l’assegno di mantenimento non era ancorato esclusivamente alle risorse reddituali e patrimoniali del coniuge tenuto a corrispondere il mantenimento (quasi ad attribuire al beneficiario il diritto di conseguire una sorta di percentuale sulle risorse del coniuge), ma era volto soprattutto ad evitare che la separazione determinasse un sensibile deterioramento delle condizioni di vita godute in corso di matrimonio.
k) che le condizioni godute dai coniugi M. – C. erano particolarmente agiate (residenza in un villino con V aiuto di una collaboratrice domestica, ricevimenti con amici, viaggi, regali costosi ecc.) ma non esageratamente lussuose, sicché appariva chiara l’eccessività dell’importo liquidato dal giudice di primo grado e l’esosità della richiesta di aumento formulata dall’appellante;
l) che la C. era titolare di pensione per il suo lavoro di insegnante (circa Euro 1000,00 mensili) nonché della rendita di una assicurazione sulla vita (altri Euro 1.000,00 circa), e sebbene privata del godimento della casa coniugale, avrebbe potuto usufruire di altra idonea abitazione (come da impegno assunto dal M. ) a sostegno del ricorso la C. formula i seguenti motivi:
1) “Error in procedendo. Violazione di legge per omessa valutazione del capo 1 del ricorso in appello — omessa motivazione sul punto decisivo per la controversia rilevante sotto il profilo della esatta quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie; mancato accoglimento del gravame circa la richiesta di aumento dell’assegno; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″.
2) “Violazione di legge. Error in iudicando, error in procedendo – Mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – errata/falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 155/ter e 155/quater, c.c. — comunque insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione sul punto,, decisivo per la controversia rilevante sotto il profilo dell’esatta quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore della figlia; mancato accoglimento del gravame circa la richiesta di aumento dell’assegno; illegittima revoca dell’assegno in favore della figlia R. – illegittima revoca dell’assegnazione della casa familiare alla moglie; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione del contraddittorio e dei diritti di difesa : si priva di casa e mantenimento una persona maggiorenne estranea al processo mai citata mai intervenuta contro la quale nessuno ha concluso”.
3) “Violazione e mancata applicazione delle disposizioni di cui al’art. 2059 Cc; insufficiente, illogica, contraddittoria motivazione sul fatto decisivo della controversia in merito al risarcimento del danno per avvenuta lesione dei diritti fondamentali e della menomazione pisco-fisica del coniuge; il tutto in relazione all’art.360 c.p.c., n.3 e 5″ laddove “In relazione al danno non patrimoniale richiesto dalla ricorrente, la Corte di merito afferma: l’unico fatto accertato è la violazione del dovere di fedeltà ma non risulta che tale infedeltà si sia concretizzata in atteggiamenti che abbiano determinato una lesione alla integrità fisiopsichica del coniuge ovvero lesione di diritti fondamentali”.
– il primo motivo del ricorso appare con evidenza fondato, a differenza degli altri due che non appaiono meritare analogo apprezzamento favorevole, rivelandosi le statuizioni con essi avversate aderenti al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale, oltre che attendibilmente motivate con argomentazioni che la ricorrente contrasta con rilievi critici privi di autosufficienza e/o non decisivi;
– le censure contenute nel primo motivo del ricorso, inerenti alla quantificazione dell’assegno di mantenimento della ricorrente, si rivelano invece, fondate con riguardo alla ricostruzione della condizione economica di ciascuna delle parti ed al relativo raffronto e segnatamente ali ‘immotivata inclusione tra i cespiti di lei di una rendita assicurativa mensile di Euro 1.000,00, che lo stesso controricorrente non conferma (pag 7 del controricorso), nonché all’impropria considerazione della futura, ipotetica e non meglio precisata soluzione alloggiativa offerta dal coniuge, il tutto anche a fronte della sintetica ed insufficiente esposizione della composizione del patrimonio di lui, nonché ancora con riguardo al rapporto dello statuito contributo con il particolarmente agiato pregresso tenore della vita coniugale e con la situazione economica del M. , definito “facoltoso imprenditore” e “soggetto più che benestante”;
– il ricorso può, quindi, essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per esservi accolto nei limiti in precedenza precisati.
– la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero, che non ha depositato conclusioni scritte, e notificata ai difensori delle parti;
– in primo luogo va ritenuta l’irricevibilità degli atti allegati dalla C. , quali la “consulenza medico-legale”, non prodotti nei gradi di merito ed estranei al novero di quelli di cui è consentito il deposito ai sensi degli artt. 366 n. 6 e 372 c.p.c.;
– alcuna osservazione critica è stata formulata dai difensori delle parti avverso la proposta di accoglimento del primo motivo del ricorso e non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle espresse nella condivisa relazione di cui sopra;
– le censure di cui al secondo ed al terzo motivo del ricorso, valutate anche alla luce delle osservazioni svolte nella memoria, non meritano, invece, favorevole apprezzamento;
– in relazione al diniego di assegno paterno per il mantenimento della figlia maggiorenne R. – da cui è legittimamente derivata pure la revoca dell’assegnazione alla C. della casa coniugale – le avversate, statuizioni si rivelano irreprensibilmente ed attendibilmente fondate non già su clausola di stile, come sostenuto dalla ricorrente, ma sulla puntuale verifica delle condizioni personali ed economiche della figlia ormai trentaseienne e titolare di rendita immobiliare nonché di titolo di studio universitario e, dunque, in grado di attendere ad occupazioni lucrative ingiustificatamente, invece, da lei rifiutate, laddove anche il rilievo della ricorrente, circa l’erroneo richiamo della sua laurea in architettura piuttosto che in conservazione e restauro di beni culturali, non appare decisivo pure in rapporto al possibile suo inserimento lavorativo nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta dal padre in ambito edilizio;
– del pari da disattendere è il terzo motivo del ricorso inerente al ribadito diniego di risarcimento del danno non patrimoniale in tesi connesso all’infedeltà del M. , cui la separazione per tale ragione è stata addebitata; l’avversata statuizione si rivela, infatti, ineccepibilmente fondata, oltre che sul richiamo di principi di diritto in linea con quelli già affermati da questa Corte circa la strutturale predicabilità di tale tipo di danno anche all’interno di un contesto familiare (cfr, tra le altre, Cass. n. 9801 del 2005; n. 18853 del 2011), sul rilevato difetto di prova della lesione di diritti fondamentali e segnatamente dell’integrità fisio-psichica della C. , riscontro negativo che la ricorrente solo genericamente avversa, omettendo di dedurre l’esistenza e la già fornita prova di condotte specifiche, dotate d’intrinseca gravità e della conseguente, ingiusta lesione di un suo diritto costituzionalmente protetto, ossia di circostanze atte ad integrare gli estremi dell’invocata tutela risarcitoria;
– non emergono, pertanto, elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle rassegnate nella condivisa relazione di cui sopra;
– conclusivamente si deve accogliere il primo motivo del ricorso, respingere gli altri due motivi e cassare la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sull’assegno, con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, respinge il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti”.

lunedì 5 marzo 2012

CONVIVENZA MORE UXORIO

La moglie, in sede di divorzio, mantiene il diritto ad un assegno che le garantisca l'esigenza minima di autonomia economica, anche se ha intrapreso una stabile convivenza con un altro uomo. In ordine alla incidenza, sul diritto all'assegno di divorzio, della convivenza more uxorio intrapresa dal coniuge richiedente, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di statuire che "...il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, non può essere automaticamente negato per il solo fatto di tale convivenza, rappresentando detta convivenza solo un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l'assegno disponga o meno di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1546; 9 aprile 2003, n. 5560)...". La convivenza more uxorio, infatti, pur ove acquisti carattere di stabilità, non dà luogo ad un obbligo di mantenimento reciproco fra i conviventi e può anche essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, cosicché l'incidenza economica di detta convivenza dove essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano. I relativi, eventuali, benefici economici, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell'assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, è destinata ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9 della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno, finché questi non contragga un nuovo matrimonio (Cass. 10 novembre 2006, n. 24056; 8 luglio 2004, n. 12557).

Sentenza 7 maggio / 28 giugno 2007, n. 14921


Suprema Corte di Cassazione 
Sezione prima civile

omissis ...

Svolgimento del processo
1. Il tribunale di Piacenza, con sentenza 24 aprile 2002, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di V. A. e B. L., ponendo a carico del V. un assegno di euro 206,58 mensili per il mantenimento del figlio D., convivente con la madre, nonché un assegno divorzile di euro 155,00.
Il V. proponeva appello contestando la debenza dell'assegno divorzile.
La Corte di appello, con sentenza depositata il 13 marzo 2003, rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza il V. ha proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato il 19 marzo 2004 alla B., che resiste con controricorso notificato il 28 aprile 2004.
 Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

1. Con il ricorso si denuncia la violazione dell'art. 5 della legge n. 998 del 1970. Si deduce che secondo il disposto di tale articolo l'assegno di divorzio ha natura esclusivamente assistenziale e va concesso unicamente per garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Nel caso di specie, nell'attribuire alla ex moglie l'assegno divorzile, non si sarebbe adeguatamente considerato che essa non godeva di alcun assegno di separazione e si sarebbero valutate le sole condizioni economiche del ricorrente, senza valutare le condizioni reddituali del nuovo nucleo familiare costituito dalla ex moglie, che avrebbe instaurato una stabile convivenza con altro uomo, secondo quanto dimostrato dalle prove acquisite ed ammesso dalla stessa ex moglie. Si deduce che il convivente godrebbe di redditi analoghi a quelli del ricorrente e la coppia vivrebbe in una casa messa gratuitamente a disposizione dal datore di lavoro del convivente. Si deduce ancora che la ex moglie svolge lavori occasionali presso terzi, e che il figlio S. verserebbe alla madre una somma mensile. Non sarebbe stato inoltre adeguatamente considerato che il ricorrente ha contratto un nuovo matrimonio, con i conseguenti oneri, e paga un assegno per il figlio D. Quanto ai guadagni del ricorrente accertati in euro 33.000 annui netti ci lamenta che non sia stato considerato che il suo salario base era di euro 1.137,00, e ogni altra somma percepita è il frutto di lavoro straordinario, svolto proprio per vivere dignitosamente.
Con il secondo motivo ai denuncia la violazione dell'art. 2697 cod. civ., non avendo la ex moglie dato la prova, che su di lei incombeva, di non essere in grado di mantenere con i suoi mezzi il tenore di vita goduto durante il matrimonio, tenuto conto che in regime di separazione non godeva di nessun assegno né lo aveva mai richiesto. 2. I due motivi vanno esaminati congiuntamente e sono infondati. Secondo l'orientamento di questa Corte espresso dalla sentenza delle sezioni unite 29 novembre 1990, n. 11492, in tema di scioglimento dal matrimonio e nella disciplina dettata dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dall'art. 10 Legge 6 marzo 1987 n. 74 che subordina l'attribuzione di un assegno di divorzio alla mancanza di "mezzi adeguati” l'accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando innanzitutto l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale (da ultimo: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021; 16 maggio 2005, n. 10210; 7 maggio 2002, n. 6541; 15 ottobre 2003, n. 15383; 15 gennaio 1998, n. 317; 3 luglio 1997, n. 5986).
Quanto al rapporto fra assegno di separazione ed assegno di divorzio, tenuto conto di quanto statuito dal citato art. 5 della legge n. 898 del 1970, questa Corte ha statuito - con decisioni che in questa sede vanno riaffermate - che la determinazione dell'assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra la parti o in forza di decisione giudiziale, nel regime di separazione dei coniugi, in quanto diverso sono le rispettive discipline sostanziali così come diversi sono la natura, la struttura e la finalità dei relativi trattamenti. L'assegno di divorzio, quale effetto diretto della pronuncia di divorzio, deve essere, infatti, determinato sulla base di criteri propri ad autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato. Con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può costituire soltanto un indice di riferimento nella regolazione del regime patrimoniale del divorzio, nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili per la valutazione della condizioni dei coniugi e dell'entità dei loro redditi (Cass. 27 luglio 2005, n. 15728; 11 settembre 2001, n. 11575), mentre la mancata richiesta, o la mancata liquidazione, in sede di separazione, dell'assegno di mantenimento, non costituisce circostanza decisiva o preclusiva della liquidazione dell'assegno di divorzio (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1203; 22 novembre 2000, n. 15055) , ove il richiedente dimostri la insufficienza delle propria disponibilità a conservare il tenore di vita di cui aveva diritto di godere durante il matrimonio.
Quanto alla incidenza, sul diritto all'assegno di divorzio, della convivenza more uxorio intrapresa dal coniuge richiedente, questa Corte ha già avuto modo di statuire che il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, non può essere automaticamente negato per il solo fatto di tale convivenza, rappresentando detta convivenza solo un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l'assegno disponga o meno di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1546; 9 aprile 2003, n. 5560). La convivenza more uxorio, infatti, pur ove acquisti carattere di stabilità, non dà luogo ad un obbligo di mantenimento reciproco fra i conviventi e può anche essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, cosicché l'incidenza economica di detta convivenza dove essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano. I relativi, eventuali, benefici economici, tuttavia, avendo natura intrinsecamente precaria, debbono ritenersi limitatamente incidenti su quella parte dell'assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell'avente diritto, è destinata ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare e l'art. 9 della stessa non ha inteso sottrarre al titolare dell'assegno, finché questi non contragga un nuovo matrimonio (Cass. 10 novembre 2006, n. 24056; 8 luglio 2004, n. 12557).
La decisione della Corte di appello, che ha confermato un assegno di divorzio di euro 155,00 mensili, tenuto anche conto della durata del matrimonio, dal quale sono nati due figli nonché della consensualità della separazione, che non consente la valutazione di elementi di addebito ai fini dell'attribuzione dell'assegno di divorzio appare conforme a tali principi, sulla base dei quali sia la mancata attribuzione di un assegno di separazione, sia l'esistenza di una convivenza more uxorio, non costituiscono, in relazione agli accertamenti di fatto compiuti in sede di merito ed incensurabili in questa sede nelle relative valutazioni, elementi idonei a negarne la legittimità. La Corte, infatti, ha accertato l'esiguità dei redditi della richiedente, a fronte del reddito netto annuo dell'ex coniuge di lire 33.000.000, ed ha liquidato l'assegno in misura tale da apparire destinato a garantire esigenze minima di autonomia economica.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM

La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro ottocento, di cui cento per spese vive.

INFEDELTA' - Separazione con addebito

L'infedeltà della moglie e la sua temporanea convivenza con un altro non necessariamente rappresentano motivo di addebito della separazione. Il marito che aveva, sul momento, perdonato e si era reso disponibile ad un tentativo di riconciliazione, in sede di separazione è stato chiamato a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento: la Corte di merito, infatti, ha ritenuto il comportamento della moglie, seppur altamente lesivo degli obblighi coniugali, non causa unica della intollerabilità della prosecuzione del rapporto proprio in ragione del periodo di riconciliazione intercorso tra l'adulterio ed il ricorso per la separazione.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25560/2010 ha confermato la sentenza ribadendo che, pur in caso di infedeltà, è escluso l'addebito della separazione al coniuge responsabile dell'adulterio se la causa della crisi coniugale non possa ricondursi alla relazione extraconiugale.
"... Il presupposto dell’addebito è  rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi dell’unione familiare, che va accertato verificando se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione d’intollerabilità della convivenza rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti comunque priva di efficienza causale, siccome interviene in un menage già compromesso, ovvero perchè, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico (cfr. Cass. n. 8512/2006 – Cass. n. 25618/2007)....".

Sentenza n. 25560 del 17/12/2010
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
SEZIONE PRIMA CIVILE
Omissis……
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 18.1.2000 Caio ha chiesto al Tribunale di ... di pronunciare la separazione personale dal coniuge Tizio a causa di insuperabili divergenze determinate da atteggiamenti caratteriali del predetto, incline a relazioni extraconiugali e ad atti di violenza, impeditivi di pacifica convivenza.
Regolarmente costituito, il T. ha chiesto che la separazione venisse addebitata alla moglie poichè il fallimento del matrimonio era stato determinato dalla relazione extraconiugale intrattenuta nel 1994 dalla predetta con un ventenne, seguita dall’abbandono della casa coniugale.
Il Tribunale, con sentenza 22/2-30/3/2004, ha dichiarato la separazione con addebito alla C., a cui ha affidato la figlia minore, ed ha posto a carico del marito il contributo di mantenimento della bambina in Euro 220,00 oltre il 50% delle spese straordinarie necessario alla stessa, da concordarsi preventivamente fra i genitori.
La C. ha proposto gravame innanzi alla Corte d’appello di ... sostenendo, quanto alla pronuncia d’addebito, che se anche dopo la crisi avevano vissuto in case separate, nel 1998 vi era stata ripresa della convivenza, dopo la quale non si erano verificati altri fatti a lei addebitabili. Ha chiesto che, nonostante dall’espletata c.t.u. fosse emersa la sua titolarità di un patrimonio immobiliare stimato in Euro 163.780,00) le venisse attribuito un assegno di mantenimento o quanto meno un assegno alimentare ai sensi dell’art. 433 c.c. poichè non disponeva di adeguati mezzi economici.
Il T. ha chiesto il rigetto del gravame ed in via incidentale che la decisione venisse riformata nella parte in cui aveva posto a suo carico le spese di c.t.u. La Corte territoriale, con sentenza n. 11 depositata il 19 aprile 2006, in riforma della precedente statuizione, ha escluso l’addebito a carico della C. e le ha attribuito l’assegno di mantenimento, dovuto dal marito in Euro 200 mensili.
Tizio ha impugnato questa decisione con ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non ha resistito l’intimata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorrente denuncia violazione degli artt. 151 e 143 c.c. e vizio di omessa, illogica e contraddittoria motivazione per non ritenuto provato il nesso tra la relazione extraconiugale della C. e la crisi del matrimonio seppur l’infedeltà rappresenti ex se causa d’addebito.
Lamenta che impropriamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto che la breve durata della relazione adulterina protrattasi per soli quattro mesi, in assenza di altri elementi di prova, non avrebbe portata tale da determinare la rottura del matrimonio.
Critica il passaggio logico in cui si afferma che depone in senso contrario il lasso di tempo di circa sei anni intercorso tra il fatto, avvenuto nel 1994, e la data di comparizione innanzi al Tribunale, fissata nel 2000, che fa presumere che vi sia stato un tentativo di riconciliazione che escluderebbe l’efficacia esclusiva dell’infedeltà. Si tratta di elemento privo di rilevanza se si considera che nel contesto sociale d’appartenenza della coppia si è soliti risolvere di fatto la crisi senza formalità giudiziarie.
Deduce illogicità della motivazione laddove esclude l’efficienza causale della relazione adulterina intervenuta con tale M. sulla base della deposizione resa da quest’ultimo.
Formula conclusivo quesito di diritto con cui chiede se la relazione extraconiugale violi l’obbligo imposto dalle norme in rubrica, sulla cui base, a meno di prova contraria, debba presumersi la valenza causale nella crisi del matrimonio.
2.- Col secondo motivo, con riferimento all’art. 156 c.c., comma 1, si duole dell’attribuzione a favore della moglie dell’assegno di mantenimento in Euro 200,00 mensili oltre Euro 220,00 per la figlia.
Se ne lamenta sia perchè la Corte territoriale avrebbe considerato il fatto che la C. non svolge attività lavorativa, svalutando il dato rappresentato dalla sua disponibilità di un patrimonio immobiliare cospicuo, sia perchè avrebbe omesso il necessario raffronto con le sue gravose condizioni economiche, determinate dalla percezione di un reddito modesto e dalle necessità del nuovo nucleo familiare, composto dalla convivente e due figli.
Con conclusivo quesito di diritto chiede se ha errato la Corte territoriale per aver attribuito l’assegno di mantenimento alla C. omettendo il raffronto delle relative condizioni patrimoniali.
Il primo motivo è inammissibile.
Alle puntuali argomentazioni della decisione che ha escluso in punto di fatto, per tutte le ragioni illustrate, che la causa della crisi coniugale possa ricondursi alla relazione extraconiugale della C., il ricorrente replica con argomenti che non centrano affatto questa ratio decidendi. Argomentando sulla base dell’affermata equazione pesta tra la violazione dell’obbligo di fedeltà e la rottura del matrimonio che ne sarebbe l’ineludibile corollario, svolge tutta una serie di considerazioni che mirano in sostanza a confutare la fondatezza della ricostruzione operata in fatto dal giudice d’appello, nonchè dell’apprezzamento dei fatti esaminati.
Già per tale ragione inammissibile, la censura si ispira a principio che la Corte di merito ha applicato nel caso concreto orientando correttamente la sua indagine sulla vicenda matrimoniale in oggetto andando a verificare se l’infedeltà della moglie ebbe effettiva incidenza causale sulla crisi del matrimonio. Il presupposto dell’addebito è invero rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi dell’unione familiare, che va accertato verificando se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione d’intollerabilità della convivenza rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti comunque priva di efficienza causale, siccome interviene in un menage già compromesso, ovvero perchè, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico (cfr. Cass. n. 8512/2006 – Cass. n. 25618/2007).
La Corte territoriale, come emerge dall’esauriente trama motivazionale che sorregge l’approdo, ha valutato in questa chiave esegetica il comportamento della C., ritenendolo lesivo dei suoi obblighi coniugali ma giudicandolo privo di efficacia causale nel provocare l’intollerabilità della prosecuzione del rapporto coniugale che, anche dopo e nonostante l’esperienza extraconiugale vissuta dalla moglie, era durato ancora per ben sei anni.
Il ricorrente smentisce la fondatezza in jure di tale ricostruzione senza coglierne il senso. Il comportamento della moglie, ad avviso della Corte di merito, è senz’altro contrario ai suoi doveri ma nondimeno, non può ad esso ascriversi la crisi insanabile intervenuta nella coppia che ha portato al suo epilogo il rapporto matrimoniale. Trattasi di un apprezzamento di fatto della vicenda, ricostruita nei sensi indicati, che ha fondato il convincimento dell’organo giudicante circa il valore non decisivo ai fini della pronuncia di addebito di quella violazione. In quanto espresso nel merito e sorretto da tessuto motivazionale puntuale, logico ed immune da errori di diritto, tale giudizio non può essere scrutinato in questa sede di legittimità, essendo demandati al solo giudice di merito sia il vaglio critico delle emergenze probatorie acquisite, che la sintesi ricostruttiva da esso desumibile.
Il secondo motivo è inammissibile.
La censura mira palesemente ad una rivisitazione nel merito delle circostanze riferite, il cui apprezzamento si contesta confutandone la fondatezza. Non indirizza alcuna critica al tessuto motivazionale della decisione nè tanto meno all’esegesi della norma rubricata offerta dall’organo giudicante. La Corte territoriale, nella ricerca del giusto equilibrio tra le effettive capacità economiche dei coniugi, valutate nel complesso degli elementi fattuali non necessariamente reddituali ma comunque capaci d’incidere almeno
approssimativamente sulle condizioni economiche, in cui si concretano le circostanze rilevanti ex art. 156 c.c., comma 2, ha determinato il quantum che ha ritenuto lo abbia assicurato. Tale motivo critica nel merito il risultato di questa indagine. E’ perciò inammissibile.
Ne discende il rigetto del ricorso , omesso ogni provvedimento sul governo delle spese processuali in assenza d’attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso.
A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omessi generalità e dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2010